In un condominio l’accessibilità dell’edificio prevale su vincoli o interessi storici della struttura. È il principio affermato da una recente sentenza della Corte di Cassazione, destinata a fare scuola (n. 9101 del 12 aprile 2018). Questo il caso specifico che ha portato la Corte Suprema al pronunciamento della sentenza: un condomino disabile aveva avviato dei lavori per l’abbattimento del muro perimetrale, posto sul ballatoio di una rampa di scale, per installare la porta d’ingresso di un ascensore. Ma gli altri condomini avevano chiesto e ottenuto la sospensione dei lavori e il ripristino dello “status quo”. Dopo una serie di ricorsi, la Cassazione si è espressa dando ragione al condomino disabile, responsabile dell’intervento.
La motivazione della sentenza è presto detta: l’uso dell’ascensore è indispensabile al disabile per poter accedere alla propria abitazione, e la sua installazione non comporta alcun pericolo per la stabilità dell’edificio e non ne compromette il decoro architettonico.
Alla base del pronunciamento della Corte vi è il riferimento normativo unico in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, ovvero la legge 13 del 1989 che costituisce l’espressione di un principio di solidarietà sociale affiancato, come nel caso specifico, a quello di solidarietà condominiale.
Quest’ultimo implica la conciliazione di diversi interessi, tra cui anche quello delle persone disabili, ad avere piena accessibilità ai luoghi abitativi privati e agli spazi comuni del condominio.
Si tratta, sostengono i giudici, di “un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, a condizione che sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione”.
“L’installazione di un ascensore – si legge nella sentenza – rientra nei poteri dei condòmini che devono rispettare comunque i limiti previsti dall’articolo 1102 del Codice Civile”. Questo significa che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”.
La legge 13 del 1989 – arrivata dopo un “laboratorio” legislativo lungo e frammentario avviato negli anni Settanta – rappresenta un compromesso, ancora perfettibile, tra le radicate ragioni della proprietà esclusiva degli edifici privati e quelle, sociali, delle tutele da garantire alle persone con disabilità. La normativa ha una portata molto ampia di applicazione e un’interpretazione piuttosto estensiva, in ragione del fatto che si richiama esplicitamente ai principi costituzionali di solidarietà (art. 2), uguaglianza (art. 3), tutela del diritto alla salute (art. 32) e funzione sociale della proprietà, sancito dall’articolo 42 della Costituzione.